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Autosuggestione, rispetto e amore per il cibo: ecco le regole imprescindibili per costruire emozione ai fornelli

Non possiamo immaginare di cucinare senza creare prima emozione dentro noi stessi, e poi, quindi, senza essere capaci di regalarla agli altri.

Se saremo cuochi felici di quello che facciamo, a qualunque livello siamo, sia professionale che amatoriale, saremo cuochi con molte possibilità di creare emozione nei nostri piatti.

Vi sarete accorti, se la passione per la cucina “ribolle” dentro di voi, che, ogni buon cuoco, al di là del modo differente di pensare “la sua cucina” e al di là dei gusti personali, delle tendenze verso le quali si spinge, degli ingredienti che predilige e delle esigenze di pubblico e di territorio che deve per forza di cose rispettare, al di là se la sua storia lo inquadra come “tradizionalista puro” oppure come innovatore, “deve” per forza di cose riuscire a vivere un rapporto carnale col cibo per riuscire a fare bene quello che fa.

Rapporto carnale con il cibo: ebbene sì. Scegliere con cura materie prime di grandissima qualità: e non conta in questo caso il food cost, ma conta l’eccellenza che mettiamo nel piatto e la cura e la ricerca nel selezionarla (la filiera, il territorio, le aziende che ci sono dietro la sua produzione).

L’eccellenza possiamo trovarla, quindi, anche in un prodotto povero, come può essere ad esempio una straordinaria animella di agnellino da latte, che altro non è che il timo dell’animale, in un concetto sempre più in voga, tanto per fare un esempio, di valorizzazione e nobilitazione del quinto quarto, ovvero di una interiora.

Non cuciniamo per moda ma per regalare emozioni a noi stessi e a chi ci farà l’onore di assaggiare la nostra cucina.

E il cibo, il buon cibo, sta esattamente nel mezzo tra “la comunicazione di emozioni” che si deve registrare tra chi plasma il cibo stesso, ovvero il cuoco, e il commensale, che deve percepire l’emozione, cioè quello che il cuoco ha dentro.

E allora ecco lo straordinario fenomeno dell’autosuggestione in cucina, ovvero l’incredibile capacità di emozionarsi e di “avere fame” preparando il proprio cibo.

Fame fisica, fame mentale, voglia di andare oltre. E se sarò innamorato fisicamente del mio cibo, del mio piatto, se mi piacerà da morire nell’assaggiarlo, se quel piatto sarà frutto di un grande percorso logico, allora ci saranno buone possibilità che il mio piatto piacerà anche a chi mi farà l’onore di sedere alla mia tavola.

Soprattutto sarò capace di trasferire emozioni nuove anche se cucinerò la medesima ricetta che ho fatto il giorno precedente. Perché io sarò sempre un cuoco nuovo, diverso da quello di ieri e da quello che sarò domani.

redazione

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