A “maidda” aveva diverse funzioni. Tuttavia le più note erano: raccoglitore per lavorare la farina prima che diventasse pane o contenitore di maccheroni già cotti, destinati ad un pasto collettivo generalmente durante i lavori per la mietitura del grano o per la vendemmia. Fare il pane in casa costituiva un abituale comune per le nostre nonne. Sembra, in particolar modo, che le famiglie delle campagne ripetessero il rituale ogni due settimane.

Nella “maidda”si disponeva la farina allargata a forma circolare con i versanti rialzati. All’interno si depositava il lievito e si versava acqua tiepida. Iniziava, in questo modo, la lavorazione dell’impasto con presa energica e ritmo sostenuto.
L’impasto veniva arrotolato, percosso a pugni, sollevato in aria e mescolato con forza, pare per consentirle di assorbire aria e ottenere un’adeguata lievitazione. Quando sul composto apparivano le bolle, si frazionavano i panetti. Quindi, si depositavano su un tavolo abbigliato con coperte e due tovaglie bianche infarinate.
Per ultimo, si procedeva alla cottura del pane nel forno in precedenza riscaldato con legna bruciata
Ma “a maidda” serviva anche ad altro. Ad esempio, come contenitore di “Lasagni cu sugu ri cunighiu” già preparate.
I “lasagni”, sono un formato di pasta tipico della cucina calatina e siciliana, in pratica, pasta all’uovo che necessitava di una fase particolare di lavorazione con essicazione in ambiente fresco e rigorosamente stesi a mano con mattarello e tagliati con coltello senza lame, una volta finita questa procedura si lasciavano  asciugare lentamente distese largamente su un lenzuolo.
Ciò che si otteneva era una pasta eccellente. Si cucinavano e si condivano tradizionalmente con ragù preparato con carne di maiale o coniglio.
La mitologia contadina voleva che tutti si sedessero attorno alla “maidda”. Insieme consumassero lo stuzzicante pasto in un clima festoso e di intensa partecipazione emotiva. Era usanza che prima mangiassero gli uomini della famiglia , se ne restava mangiavano le donne